Attuare un radicale cambio di strategia.
La dimensione del fenomeno dell’immigrazione ha assunto caratteristiche strutturali nel disordine mondiale, fatto di conflitti conclamati e striscianti (secondo l’International Crisis Group a fine luglio 2018 c’erano nel Mondo almeno 77 focolai di crisi, concentrati maggiormente nel Nord e Centro Africa, nel Medio Oriente e in altre zone dell’Asia, con 68,5 milioni di sfollati, di cui oltre 20 milioni verso Paesi esteri), di cambiamenti climatici che stanno stravolgendo l’ecosistema e l’economia delle popolazioni residenti in intere aree della terra, di crescenti squilibri tra il valore delle materie prime e quello dei prodotti industriali o dei servizi. Squilibri frutto, a loro volta, di uno sviluppo distorto e squilibrato.
Le ricadute di tali processi si sono tramutate in altrettante emergenze sociali nei Paesi di destinazione. È stato correttamente osservato che i Governi, spogliati di gran parte delle loro capacità e prerogative sovrane dalle forze della globalizzazione, non possono far altro che “scegliere con cura” i bersagli che sono (presumibilmente) in grado di sopraffare e contro cui sparare le loro salve retoriche e gonfiare i muscoli. Così, spesso, gli immigrati sono stati trasformati in comodi bersagli su cui sfogare le ansie provocate dalla crescente precarizzazione e vulnerabilità della condizione sociale di ampli strati delle popolazioni nei Paesi ad economia avanzata.
Per troppo tempo, e oggi tale visione distorta è portata alle estreme conseguenze, il tema delle migrazioni è stato declinato prevalentemente in termini di ordine pubblico e sicurezza. Allo stesso tempo, se ne è data una lettura utilitaristica e cinica: abbiamo bisogno degli immigrati per contrastare il declino demografico, per fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare, per pagare le pensioni ai nostri lavoratori. Interi settori della nostra economia si poggiano sull’ipersfruttamento dei lavoratori stranieri, nella complice indifferenza di troppe autorità locali e centrali che fanno finta di non vedere i tanti ghetti che sorgono nelle aree più degradate del Paese e che, a loro volta, rappresentano un ulteriore deterioramento della condizione di vita delle popolazioni residenti. Questa non può essere definita accoglienza. Aver appaltato ai privati la gestione di tanta parte dell’accoglienza, anche senza arrivare alle criminali forme che hanno alimentato “mafia capitale”, ha rappresentato spesso una scelta irresponsabile che ha generato problemi sociali invece che valide soluzioni.
C’è evidentemente bisogno di un radicale cambio di strategia che metta al centro il migrante, considerato come persona e non come fattore economico o come potenziale pericolo materiale o culturale. In questa chiave, il tema delle migrazioni andrebbe sottratto dalle competenze esclusive del ministero dell’Interno e affrontato, con una visione più globale, anche dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dal ministero dell’Istruzione, dal ministero degli Esteri. Esattamente il contrario di quanto sta portando avanti il Governo Lega-Cinquestelle che, con provvedimenti che sconfessano la nostra tradizione culturale e giuridica, riduce i casi di riconoscimento del titolo di soggiorno, eliminando quello per motivi umanitari – così trasformando in irregolari le tante migliaia di persone che, finora, hanno potuto accedere a tale istituto. Ancora, il Governo ha deciso di tagliare drasticamente il sistema di accoglienza pubblica degli Sprar, da tutti riconosciuto come efficace e trasparente, anche dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse finanziarie, e improntato a un’accoglienza dignitosa e indirizzata all’obiettivo della responsabilità e dell’autonomia degli immigrati, con strumenti per l’integrazione e personale qualificati.
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